Un messaggio semplice, disarmante nella sua sincerità. Così Mattia Caldara, trentun anni appena compiuti, ha annunciato il suo ritiro dal calcio giocato. Una scelta dolorosa ma inevitabile, maturata dopo una lunga battaglia contro gli infortuni che, per anni, gli hanno impedito di tornare quel difensore elegante e moderno che l’Italia del calcio aveva imparato ad ammirare ai tempi dell’Atalanta.
Lo ha fatto con una lettera aperta pubblicata sul sito di Gianluca Di Marzio, un testo pieno di umanità e consapevolezza, dove l’uomo ha finalmente superato il calciatore. “Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere”, scrive Caldara, rivelando di aver preso la decisione lo scorso luglio, dopo l’ennesimo verdetto medico: “Mattia, non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui, tra qualche anno dovremo metterti una protesi.”
Una carriera spezzata
È la frase che mette fine a un lungo tormento fisico e mentale. Perché Caldara non si è mai arreso, ma il destino gli ha negato la serenità del ritorno. “Ricordo ancora il primo passo dopo il contrasto: ho sentito la terra cedere sotto il mio piede. Sono crollato. Prima fisicamente, poi mentalmente”, confessa nella lettera.
Quel trauma al ginocchio, in un momento in cui la sua carriera stava decollando, ha cambiato tutto. Dalla gioia del trasferimento al Milan, dopo stagioni d’oro con la maglia dell’Atalanta, all’incubo di un corpo che non risponde più come prima. “Con il tempo sono stato meglio, ma non sono mai stato bene. Mai più. Non sono più riuscito a tornare a essere quel Caldara”, ammette con lucidità.
Tra prestiti e rientri, Venezia, Spezia, Modena, la sua parabola è diventata una lenta discesa, ma mai una resa. Ogni ritorno in campo è stato un atto di coraggio, ogni allenamento una piccola vittoria personale.
Il ragazzo dell’Atalanta
Caldara è figlio del vivaio nerazzurro, un prodotto autentico della scuola bergamasca. Tra il 2016 e il 2018 si afferma come uno dei difensori italiani più promettenti, capace di unire senso della posizione e istinto del gol: dieci reti in due stagioni da centrale, un bottino insolito e prezioso.
Nel 2018 il Milan lo acquista per 35 milioni di euro, in uno scambio clamoroso con Bonucci. Ma il sogno rossonero dura pochissimo: appena tre presenze ufficiali in cinque anni, frammentate da prestiti e ricadute. Una parabola crudele per chi, in quel momento, rappresentava la speranza del futuro azzurro.
Eppure, nonostante tutto, Caldara ha vestito per due volte la maglia della Nazionale maggiore, nel 2018. Poche apparizioni, ma abbastanza per segnare il suo nome tra i protagonisti di una generazione di difensori cresciuta all’ombra di Chiellini e Bonucci.
L’ultima fermata: Modena
L’ultimo capitolo della sua carriera lo scrive in Serie B, con il Modena. Ventisei presenze, un gol, e la sensazione di aver ritrovato almeno per un po’ il gusto del campo. Poi, la consapevolezza che fosse giunto il momento di fermarsi.
“Mi sento più leggero, libero di essere me stesso, finalmente”, scrive nel suo addio. “Si abbassa il sipario. In campo ora c’è Mattia.”
Parole che raccontano un passaggio di testimone interiore: non più il difensore che rincorre il sogno perduto, ma l’uomo che accetta la fine con dignità.
Un addio che sa di gratitudine
“Sono grato al calcio. È stato il mio compagno di viaggio per 25 anni”, ricorda Caldara, tornando bambino, al primo allenamento accompagnato dal nonno. In quella memoria semplice e affettuosa, si condensa l’essenza di una vita dedicata a un pallone.
Il calcio gli ha dato tutto, anche quando sembrava portargli via ogni cosa. E nella sua lettera non c’è amarezza, ma un affetto profondo, la riconoscenza di chi sa che, nonostante tutto, ne è uscito migliore.
In un’epoca in cui spesso i saluti diventano comunicati, Mattia Caldara ha scelto la forma più umana e coraggiosa: una lettera d’amore al calcio, scritta da chi ha sofferto, ma non ha mai smesso di credere. Un addio silenzioso, sincero, che racconta più di mille interviste. Perché anche quando la carriera finisce, lo spirito del calciatore resta. E in fondo, Mattia Caldara resterà sempre quel ragazzo dell’Atalanta con la mente pulita e il cuore pieno di calcio.

