Milan, 70 milioni per Gimenez e Nkunku: due scommesse costose che non risolvono il problema del numero 9

Tra errori di valutazione e strategie di mercato confuse, i rossoneri continuano a pagare la mancanza di un centravanti vero. Kean sarebbe costato meno e garantito certezze

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Nel tentativo di risolvere il suo eterno problema in attacco, il Milan ha speso oltre 70 milioni di euro in due operazioni ad alto rischio. 33 milioni per Santiago Gimenez, 38 per Christopher Nkunku, più bonus. Investimenti importanti, ma che ad oggi non hanno colmato il vuoto lasciato negli anni da veri numeri nove come Ibrahimovic e Giroud, uomini capaci di dare profondità, peso offensivo e leadership.

La squadra di Massimiliano Allegri, che si è ritrovato a gestire una rosa numericamente corta e qualitativamente discontinua, paga le conseguenze di un mercato che ha puntato su scommesse più che su certezze.

Allegri e il paradosso del centravanti

L’allenatore livornese, come spesso accaduto nella sua carriera, sta cercando di adattare il materiale a disposizione, trovando soluzioni creative in un contesto imperfetto. Ha reinventato Leao come falso nove e provato Loftus-Cheek da seconda punta, sintomo di una mancanza cronica di riferimenti offensivi.

La sua capacità di arrangiarsi non può però compensare un errore strutturale: la mancanza di un centravanti all’altezza della storia del Milan. Un limite che nasce da scelte discutibili e da un approccio al mercato più ispirato alla sperimentazione che alla logica calcistica.

Gimenez, l’errore dell’adattamento

Il primo colpo, Santiago Gimenez, arrivò nel gennaio scorso dopo una buona Champions League con il Feyenoord. Un attaccante emergente, tecnico, ma poco adatto al contesto italiano.

La Serie A, tatticamente complessa e fisicamente intensa, ha esaltato le sue carenze: Gimenez è un giocatore da ultimi sedici metri, forte in area ma debole nel gioco spalle alla porta, incapace di dialogare con la squadra. Il Milan ha sottovalutato l’impatto ambientale e psicologico di un passaggio così brusco, scoprendo troppo tardi che l’Eredivisie non è un banco di prova sufficiente per giudicare la maturità di un centravanti.

Nkunku, un talento fuori ruolo

Dopo la mezza delusione Gimenez, il Milan ha deciso di raddoppiare l’azzardo. L’estate successiva è arrivato Christopher Nkunku, un giocatore di talento e fantasia, ma tutt’altro che un attaccante puro. Il suo passato al Lipsia e poi al Chelsea lo descrive come un trequartista o un falso nove, capace di inventare ma non di reggere un reparto.

Pagare quasi 40 milioni per un profilo così fragile fisicamente e tatticamente incompatibile con le esigenze del Milan ha significato ripetere lo stesso errore, investendo su un calciatore di classe ma privo delle caratteristiche necessarie per essere il riferimento offensivo della squadra. Nkunku è un lusso tecnico, non una soluzione al problema.

Il centravanti che mancava: Kean

La vera beffa sta nel nome di Moise Kean. Fino al 15 luglio scorso, il centravanti italiano era acquistabile grazie a una clausola rescissoria da 52 milioni di euro, una cifra inferiore alla somma spesa per Gimenez e Nkunku.

Conoscitore della Serie A, giovane ma già esperto, allenato in passato da Allegri, Kean avrebbe rappresentato un investimento logico e sostenibile, capace di offrire immediate garanzie. Invece, il Milan ha preferito diluire la spesa su due scommesse, rinunciando a un profilo che avrebbe risolto il problema strutturale del reparto offensivo.

I soldi ci sono, ma mancano le idee

Non è questione di risorse, ma di criterio e visione. Il Milan americano ha dimostrato di poter investire, ma non sempre di saperlo fare nel modo giusto. Il caso del numero 9 è emblematico: ruolo cruciale, ma gestito con superficialità.

Nel calcio italiano, dove le partite si vincono spesso sull’equilibrio tattico e sulla capacità di tenere il pallone nei momenti difficili, avere un centravanti fisico e tecnico è fondamentale. Eppure, dopo mesi di ricerche, il Milan continua a mancarlo.

Anche Retegui, oggi in Arabia, aveva rivelato di essere stato cercato dai rossoneri, ma senza che il club trovasse le giuste argomentazioni economiche. Un segnale chiaro di un problema più ampio: non la mancanza di soldi, ma la mancanza di una strategia coerente.

Il Milan, che negli anni ha costruito la sua grandezza sui numeri nove – da Nordahl a Van Basten, da Shevchenko a Ibrahimovic – oggi sembra aver dimenticato cosa significhi avere un attaccante vero.

E finché non tornerà a costruire le sue squadre partendo da lì, ogni investimento, per quanto costoso, rischierà di restare solo un’altra scommessa persa.

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