Clima di festa in casa Milan. Per l’ottimo inizio di campionato, per la serenità ritrovata, e per il compleanno di Zlatan Ibrahimovic, leggenda del club. L’ex centravanti svedese spegne 44 candeline e, come ogni anno, il Milan gli ha fatto gli auguri sui propri canali social.
Il video su Instagram
“Un campione e un leader dentro e fuori dal campo”. Queste le parole che accompagnano il video con le migliori immagini dell’Ibra rossonero nel corso degli anni, invecchiato nell’aspetto fisico ma eterno nella capacità di fulminare chiunque con quello sguardo così impenetrabile e pieno di sé. Quarantaquattro anni sono un traguardo importante, incastonato tra la voglia di guardare avanti e la necessità di voltarsi per ricordare ciò che si è stati. Del calciatore Ibrahimovic si conoscono persino le virgole, ma non sempre ci si sofferma su ciò che davvero ha rappresentato per l’universo rossonero.
Game changer
“Da 7 anni non alzavamo lo scudetto. Nel presentarsi al gruppo, disse che era venuto per farci vincere. In quel momento ho capito che, se non avesse spaccato lo spogliatoio, saremmo davvero tornati campioni d’Italia”. L’aneddoto condiviso qualche anno fa da Gattuso sui primi giorni del compagno al Milan sintetizza appieno l’essenza di Ibra: mentalità ninja e atteggiamenti da bullo di periferia, un talento sopraffino al servizio di una impareggiabile voglia di vincere. Lo svedese atterrò a San Siro come un uragano, intento a rivitalizzare un gruppo di campioni attempati incapaci di reggere il passo della dirimpettaia Inter regina d’Europa.
Dallo scudetto all’addio
56 gol in 85 presenze nel primo biennio in maglia rossonera. Reti di potenza, di tecnica e in acrobazia: l’intero repertorio del bomber valse uno scudetto, una supercoppa italiana e, per lui, un titolo di capocannoniere, prima del drammatico addio nell’estate 2012. Zlatan aveva un contratto ancora lungo e, soprattutto, la promessa di Galliani che non lo avrebbe venduto. L’obiettivo era chiaro, voleva dare battaglia alla Juve di Antonio Conte, che nel frattempo gli aveva soffiato lo scudetto. Si mise invece in mezzo il Paris Saint Germain, che, sfruttando il periodo di forte crisi economica per le casse di Berlusconi, offrì 42 milioni di euro e se lo portò sotto la Tour Eiffel assieme a Thiago Silva.
La lunga rincorsa
Negli anni successivi gli sguardi di Ibra e del Milan non hanno mai smesso di incrociarsi, tra dichiarazioni nostalgiche e presunte trattative di mercato mai confermate dai fatti. Era appena iniziata la banter era per l’intero ambiente milanista, caratterizzata da una squadra distrutta da un ricambio generazionale non all’altezza e una tifoseria che gradualmente abbandonava lo stadio e, con esso, le speranze di tornare a competere. Dal canto suo, invece, Ibra incantava in Francia, prima di farsi valere al Manchester United e concedersi quello che tutti avevano definito il suo buen retiro in quel di Los Angeles.
Un nuovo sole all’orizzonte
Se c’è una cosa, tuttavia, che Zlatan non ha mai smesso di fare in oltre venti anni di carriera, quella è stupire. E così, il 27 dicembre 2019, Maldini e Boban lo riportano al Milan. Anche in questo caso, l’impatto del centravanti è da scolpire nella pietra: gol alla prima presenza da titolare e, soprattutto, una fonte di ispirazione per i giovani del gruppo durante le settimane del lockdown. È nato lì il Milan che solo due primavere dopo avrebbe vinto lo scudetto, con lo svedese nel ruolo di leader maximo, capace ancora di graffiare in campo (saranno 47 i gol totali al termine della seconda esperienza col Diavolo) e soprattutto di accrescere la personalità dei compagni. L’aura del campione, un’eredità da conservare.
Dirigente ma non troppo
Se il calciatore Ibrahimovic sorprendeva per la personalità, la versione in giacca e cravatta ha subito fatto nascere parecchi interrogativi. Dal dicembre 2023 lo svedese è senior advisor di Redbird, nonché consulente personale del proprietario Gerry Cardinale, una carica che finora è sembrata impattante più a parole che nei fatti. E qui nascono i problemi. Slogan urlati, dichiarazioni altisonanti e gaffe comunicative hanno macchiato gli scorsi mesi di Ibra, inducendo molti ad interrogarsi su quanto sia adeguato al ruolo. Se da calciatore puoi permetterti bizzarrie, da dirigente no. A maggior ragione se, formalmente, nemmeno sei dirigente, nonostante forse a qualcuno servisse farglielo credere, così da mandarlo in pasto alle critiche.
E ora?
Negli ultimi tempi ci siamo abituati al rumoroso silenzio dello svedese, che a volte si vede a Milanello e molto più spesso compare nelle vesti di testimonial di qualche attività commerciale. Se è vero che nessuno nasce imparato, Ibrahimovic deve aver capito che l’autoprotezione può essere un ottimo antidoto all’incertezza legata al suo ruolo. In attesa di nuove acrobazie. D’altronde, 44 è quattro volte il numero 11, quello che ha vestito nei suoi anni milanisti. Ci siamo stropicciati gli occhi di fronte al calciatore, abbiamo applaudito il leader e criticato il comunicatore. La quarta versione di Ibra è ancora tutta da scrivere, con il Milan nel cuore.